Oggi è il mio compleanno, non anagrafico ma il giorno di una nascita diversa, di un nuovo percorso, un percorso lento, incerto, fatto di passato, presente e futuro, tutto condensato insieme in un unico momento. Si badi bene, non una ri-nascita, ma una nascita. Genesi, origine, principio. Ma pensandoci bene, esiste una differenza tra principio e fine? Probabilmente no, semplicemente l’uno è la continuazione dell’altro, un filo conduttore che lega differenti periodi di una vita. Così è, così è stato, così sarà. È giunta la fine di un percorso ma al contempo questo momento segna l’apertura di un nuovo inizio.
Da dove origina un principio?
Nella maggior parte delle ipotesi da una crisi, da un momento di rottura di un equilibrio, generalmente definito “strappo”, che nella sua precarietà è stato tuttavia costruito faticosamente nel tempo. Un nesso inscindibile senza il quale non si potrebbe avere un principio.
Crisi = Fine = Rottura = Inizio.
Nella sua drammaticità, anche la peggiore della crisi è, infatti, un momento di ripartenza, una fase transitoria che obbliga ad una riorganizzazione della propria vita, implicando un cambiamento delle relazioni, di tutto l’intero sé, spesso accompagnato da momenti di stress ed angoscia, alla ricerca del ripristino di quell’equilibrio abbandonato, perduto. Un po’ come il mito della Fenice che risorge dalle proprie ceneri.
Proprio questo tema è il titolo dell’ultimo libro di Tiziano Terzani, “La fine è il mio inizio”. Sfogliare le pagine di questo testo, trascina il lettore alla scoperta stessa del viaggio medesimo, rappresentando l’essenza stessa del viaggio, percorso finale della vita. Tale consapevolezza nasce dalle esperienze fatte dallo scrittore nel corso della sua vita, in particolare attraverso gli innumerevoli viaggi realizzati prevalentemente nel continente asiatico, come noto panacea di innumerevoli influssi religiosi.
Proprio il “viaggio”, portato alle sue estreme conseguenze, inteso come “emigrazione” è oggetto di analisi e di profonde indagini da parte di sociologi, psicologi e psiconalisti. L’emigrazione, infatti, è fenomeno antico come l’uomo ma dall’aspetto sempre diverso ed assolutamente dinamico. Ed è proprio analizzando la personalità e la predisposizione individuale alla partenza, al distacco che in psicoanalisi Enid Balint, distinse due diversi atteggiamenti: l’ocnofilia ed il filobatismo. Entrambi i termini di etimologia greca indicano, rispettivamente, l’atteggiamento di “aggrapparsi”, di tenersi saldamente attaccato all’oggetto. In particolare, rientrano in questa categoria quelle persone che tendono a rimanere legati a ciò che si ha. Coloro i quali restano aggrappati ai posti in cui si vive, alla sicurezza costruita nel corso del tempo. In altre parole, l’ocnofilo si sente al sicuro in presenza dell’oggetto e avverte come un pericolo gli spazi aperti e vuoti. L’ocnofilo vive nell’illusione di essere al sicuro per tutto il tempo in cui rimane in contatto con un oggetto che gli da sicurezza. Il filobate, al contrario, è chi ha la capacità di “camminare sulle punta dei piedi”. Il Filobate è un acrobata, che si stacca dalla terra sicura e si avventura nello spazio vuoto. Un soggetto dotato di una spiccata tendenza al cambiamento, all’avventura, al non creare legami solidi con cose e persone che si incontrano nel corso della vita.
L’appartenenza all’una o all’altra di queste categorie, è alla base del fenomeno migratorio. In particolare, per il filobate l’incontro con gli oggetti nello spazio vuoto, costituisce un rischio. Da ciò deriva, una spiccata propensione al rischio. Alla stregua dell’acrobata, il filobate esegue incredibili evoluzioni spinto dal suo desiderio di esporsi a situazioni – brivido, caratterizzate dal volontario allontanarsi dalla sicurezza offerta dallo stare con i piedi per terra, facendo esclusivo affidamento sulle proprie competenze e capacità e sul suo equipaggiamento. Per tale ragione, il filobate intende il rischio, secondo una valenza positiva, intesa come il prezzo da pagare nella corsa all’affrancamento dalla Società. Rischiare in altre parole equivale, per il filobate, ad agire, conquistare, crescere, sia che si tratti di una scoperta scientifica che di una esplorazione.
E cos’è un viaggio se non appunto un rischio, una scommessa, verso l’ignoto.
Oggi è il mio compleanno ed è da qui che inizia il mio viaggio.
Ed il mio regalo è una poesia di diversi anni fa, giunta tra le mani in questi giorni, quasi per caso, nella ricerca ossessiva della profondità delle cose. La poesia, intitolata appunto viaggio, narra la storia di una nave che si accinge a prendere il largo. Prima di partire, il suo capitano caricò la nave con tutto ciò che ricevette in dono, la dipinse a tinte sgargianti e investì tutte le sue energie affinché fosse splendida per quel viaggio. Dopo aver atteso tanto,finalmente giunse il tempo di salpare e così fu. Giunti in mare aperto, lottando con tempeste e mareggiate, il capitano, il suo equipaggio e la nave stessa, scoprirono una amara verità. E quella verità era la solitudine, faro per il capitano verso nuove rotte. Una rotta diversa da quella che gli era stata insegnata nel porto, una rotta differente, soggettiva, personale, che infondeva al viaggio stesso un sapore diverso.
questo mi fa pensare a un testo chi avevo letto
RispondiElimina"un viaggio di mille luoghi comincia con un passo, e girati, è un brutto modo di continuare un viaggio."
Bach era una buona scelta, ma io ti auguro
questa
http://www.youtube.com/watch?v=-sWnEWpS_fA
a presto
K!m