mercoledì 16 marzo 2011

Rischio –Filobatismo - Emigrazione –Equilibrio 1

Oggi è il mio compleanno, non anagrafico ma il giorno di una nascita diversa, di un nuovo percorso, un percorso lento, incerto, fatto di passato, presente e futuro, tutto condensato insieme in un unico momento. Si badi bene, non una ri-nascita, ma una nascita. Genesi, origine, principio. Ma pensandoci bene, esiste una  differenza tra principio e fine? Probabilmente no, semplicemente l’uno è la continuazione dell’altro, un filo conduttore che lega differenti periodi di una vita. Così è, così è stato, così sarà. È giunta la fine di un percorso ma al contempo questo momento segna l’apertura di un nuovo inizio.
Da dove origina un principio?
Nella maggior parte delle ipotesi da una crisi, da un momento di rottura di un equilibrio, generalmente definito “strappo”, che nella sua precarietà è stato tuttavia costruito faticosamente nel tempo. Un nesso inscindibile senza il quale non si potrebbe avere un principio.
Crisi = Fine = Rottura = Inizio.
Nella sua drammaticità, anche la peggiore della crisi è, infatti, un momento di ripartenza, una fase transitoria che obbliga ad una riorganizzazione della propria vita, implicando un cambiamento delle relazioni, di tutto l’intero sé, spesso accompagnato da momenti di stress ed angoscia, alla ricerca del ripristino di quell’equilibrio abbandonato, perduto. Un po’ come il mito della Fenice che risorge dalle proprie ceneri.
Proprio questo tema è il titolo dell’ultimo libro di Tiziano Terzani, “La fine è il mio inizio”. Sfogliare le pagine di questo testo, trascina il lettore alla scoperta  stessa del  viaggio medesimo, rappresentando l’essenza stessa del viaggio, percorso finale della vita. Tale consapevolezza nasce dalle esperienze fatte dallo scrittore nel corso della sua vita, in particolare attraverso gli innumerevoli viaggi realizzati prevalentemente nel continente asiatico, come noto panacea di innumerevoli influssi religiosi.
Proprio il “viaggio”, portato alle sue estreme conseguenze, inteso come “emigrazione” è oggetto di analisi e di profonde indagini da parte di sociologi, psicologi e psiconalisti. L’emigrazione, infatti, è fenomeno antico come l’uomo ma dall’aspetto sempre diverso ed assolutamente dinamico. Ed è proprio analizzando la personalità e la predisposizione individuale  alla partenza, al distacco che in psicoanalisi Enid Balint, distinse due diversi atteggiamenti: l’ocnofilia ed il filobatismo. Entrambi i termini di etimologia greca indicano, rispettivamente, l’atteggiamento di “aggrapparsi”, di tenersi saldamente attaccato all’oggetto. In particolare, rientrano in questa categoria quelle persone che tendono a rimanere legati a ciò che si ha. Coloro i quali restano aggrappati ai posti in cui si vive, alla sicurezza costruita nel corso del tempo. In altre parole, l’ocnofilo si sente al sicuro in presenza dell’oggetto e avverte come un pericolo gli spazi aperti e vuoti. L’ocnofilo vive nell’illusione di essere al sicuro per tutto il tempo in cui rimane in contatto con un oggetto che gli da sicurezza. Il filobate, al contrario, è chi ha la capacità di “camminare sulle punta dei piedi”. Il Filobate è un acrobata, che si stacca dalla terra sicura e si avventura nello spazio vuoto. Un soggetto dotato di una spiccata tendenza al cambiamento, all’avventura, al non creare legami solidi con cose e persone che si incontrano nel corso della vita.
 L’appartenenza all’una o all’altra di queste categorie, è alla base del fenomeno migratorio. In particolare, per il filobate l’incontro con gli oggetti nello spazio vuoto, costituisce un rischio. Da ciò deriva, una spiccata propensione al rischio. Alla stregua dell’acrobata, il filobate esegue incredibili evoluzioni spinto dal suo desiderio di esporsi a situazioni – brivido, caratterizzate dal volontario allontanarsi dalla sicurezza offerta dallo stare con i piedi per terra, facendo esclusivo affidamento sulle proprie competenze e capacità e sul suo equipaggiamento.  Per tale ragione, il filobate intende il rischio, secondo una valenza positiva, intesa come il prezzo da pagare nella corsa all’affrancamento dalla Società. Rischiare in altre parole equivale, per il filobate, ad agire, conquistare, crescere, sia che si tratti di una scoperta scientifica che di una esplorazione.
E cos’è un viaggio se non appunto un rischio, una scommessa, verso l’ignoto.
Oggi è il mio compleanno ed è da qui che inizia il mio viaggio.
Ed il mio regalo è una poesia di diversi anni fa, giunta tra le mani in questi giorni, quasi per caso, nella ricerca ossessiva della profondità delle cose. La poesia, intitolata appunto viaggio, narra la storia di una nave che si accinge a prendere il largo. Prima di partire, il suo capitano caricò la nave con tutto ciò che ricevette in dono, la dipinse a tinte sgargianti e investì tutte le sue energie affinché fosse splendida per quel viaggio. Dopo aver atteso tanto,finalmente giunse il tempo di salpare e così fu. Giunti in mare aperto, lottando con tempeste e mareggiate, il capitano, il suo equipaggio e la nave stessa, scoprirono una amara verità. E quella verità era la solitudine, faro per il capitano verso nuove rotte. Una rotta diversa da quella che gli era stata insegnata nel porto, una rotta differente, soggettiva, personale, che infondeva al viaggio stesso un sapore diverso.

"Viaggio per inesplorate acque su una nave
che, come milioni di altre simili, peregrina
per oceani e mari
su rotte regolari
E altre ancora
(molte, davvero molte anche queste)
gettano l’ancora nei porti.
Per anni ho caricato questa nave
Con tutto quello che mi davano
e che prendevo con enorme gioia
E poi
(lo ricordo come fosse oggi)
la dipingevo a tinte sgargianti
e stavo attento
che non si macchiasse in nessun punto
La volevo bella per il mio viaggio
E dopo avere atteso tanto –proprio tanto
Giunse alla fine il momento di salpare
E salpai…
(Nave io e capitano
ed equipaggio per trovarti
fammi a pezzi
ma non farmi sanguinare il corpo)
Quando mi trovai in mare aperto
onde immense mi travolsero
e mi straziarono per rivelarmi
amare verità che ignoravo
Verità che dovevo imparare
Nell’abbraccio dell’oceano
con un lungo furente fragore
la solitudine
divenne per me faro del pensiero
indicando strade nuove
Il tempo passava e io
iniziavo a tracciare la rotta
ma non come mi avevano insegnato al porto
(anche se la mia nave mi sembrava diversa allora)
Così il mio viaggio
ora lo vedevo diverso
senza più pensare a porti e commerci
Il carico mi appariva ormai superfluo
Ma continuavo a viaggiare
conoscendo il valore della nave
conoscendo il valore della merce
E continuo ancora il viaggio
che scricchiolino incessantemente le giunzioni
sperando che non si spezzino
perché sono legni marci da anni
(secoli dovrei dire)
verniciati di recente ma senza
una forza nuova che li tenga uniti
la rotta sempre contro il tempo
nella stiva solo zavorra
Zavorra che mi dissero
merce preziosa, come quella
che di solito si compra nei porti
Ma se dicessi che mi hanno ingannato
non sarei onesto
osservo la bussola
senza sosta
con accanto la mappa
su cui studio la rotta
lontano dai porti che segnalano il passaggio
Quando poi succede che splendano
(che istanti difficili!)
all’orizzonte i porti della terra
l’equipaggio guarda le luci
(luci sirene
che promettono molto
che anche il cuore e la carne pretendono)
sempre aspettando che dica
al timoniere di far virare la nave
E attraccare almeno un poco
Mentre l’ora trascorre e io
osservo silenzioso la carta
tutt’intorno cresce il tumulto
Proposte subdole
vestite con idee
idee vendute che vogliono sempre
A dornare l’inazione con le parolee minacce
che vogliono passare per consigli
e promesse
che tentano la bestia e la risvegliano…
Quelle sono ore difficili
Perché da ognuna di loro
Dipende l’intero viaggio
E continuo ancora il viaggio
Desideri radicati nell’anima
sono diventati bussola per la mia nave
la mia mappa
altrettanto misteriosa
Ci sono ore in cui credo
che sia stata fatta
per chi non voglia approdare in nessun porto
e altre ore in cui confido
che il viaggio avvenga perché
su questa carta bisogna trovare
qualche cosa che manca
Così vado alla ricerca
guardando la mappa la bussola il cielo
in cielo, rintracciare segnali
nuove prove che dimostrino
che la bussola non sbaglia nel segnare
Non stupirti, questo non significa
che io abbia dei dubbi sulla mia bussola
E’ solo un’abitudine- una vecchia abitudine
che per secoli accompagnava l’anima
questa compagna
preziosa per i tempi bui
quando c’erano soltanto i semi nell’anima
degli amori che ora sono fioriti
E vado alla ricerca
Guardando la mappa la bussola il cielo
Le onde immense sembra che cerchino
di fare il gioco di chi vuole
che attracchi da qualche parte per un po’
E’ ognuna
di quelle onde un Golgota
e pensa
che la tempesta imperversa ininterrotta
Ma mentre aumenta
temo sempre più
che la spaventosa furia del mare
mi conduca ad avvistare
porti là sulla costa
porti che la mia mappa non indica
Sono ostacoli e momenti difficili
l’abbiamo detto
l’equipaggio comincerà a ribollire
quando quei porti appariranno sulla costa
E continuo il viaggio
alla ricerca ancora
pur sapendo di essere
nell’infinito del tempo un istante
nell’abisso dello spazio un puntino
E continuo il viaggio
anche se sono tenebra
e tutto atorno a me è tenebra
e la tempesta lo rende più spaventoso
E continuo il viaggio
e mi basta
che io tenebra
abbia amato la luce"
                                                                  ( A. Panagulis )




1 commento:

  1. questo mi fa pensare a un testo chi avevo letto
    "un viaggio di mille luoghi comincia con un passo, e girati, è un brutto modo di continuare un viaggio."

    Bach era una buona scelta, ma io ti auguro
    questa
    http://www.youtube.com/watch?v=-sWnEWpS_fA

    a presto
    K!m

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