mercoledì 29 febbraio 2012

World Press Photo 2012

















A Dream

Indra, il dio protettore dei viaggiatori, incoraggia un giovane di nome Rohita a intraprendere una vita sulla strada:


Non c’è felicità per chi non viaggia, Rohita!
A forza di stare nella società degli uomini,
Anche il migliore di loro si perde.
 Mettiti in viaggio.
 I piedi del viandante diventano fiori,
 La sua anima cresce e da frutti,
 I suoi vizi sono lavati via dalla fatica del viaggiare.
 La sorte di chi sta fermo non si muove,
Dorme quando quello è nel sonno,
 Si alza quando quello si desta.
 Allora vai, viaggia, Rohita !



giovedì 16 febbraio 2012

Jack lo spazzacamino - III parte





Godendo della vista esclusiva sulla città, i due funamboli iniziarono a raccontarsi fin quando una riflessione di Eloise stravolse tutte le carte in tavola, e cambiò completamente l’esito di questa storia.
«Sono stanca Marco, e mi capita da un po’ di tempo a questa parte di voler lasciare la presa del mio trapezio e scivolar giù. Ti è mai capitato di voler lasciare la presa quando ti rendi conto che è inutile restare ancora legati al trapezio quando dall’altra parte non hai la certezza di avere qualcuno pronto ad afferrarti e sorreggerti. Ho un dolore immenso alla mano sinistra, la mano del cuore, e mi chiedo che senso abbia continuare ancora a restare legati alla presa? Non ho più forza o semplicemente è giunto il momento di accettare le cose e lasciar andare la presa» 
Quelle riflessioni, aprirono uno squarcio nel cuore di Jack , per un attimo la sicurezza nello star seduto lassù venne meno, e un inizio di tremito percorse le sue gambe. Entrambi i funamboli con lo sguardo fisso sul lento scorrere della Senna attraversata dai battelli lucenti all’imbrunire, si abbandonarono a qualche istante di silenzio,interrotto dalle parole di un Jack, improvvisamente trasformato.
«Mollare la presa come accettazione di un momento negativo. La tua liberazione Cara Eloise, assume i contorni di una accettazione equivalente a rassegnazione ad abbandono, non posso avere ciò che desidero, allora mi rassegno abbandono la presa e mi lascio cadere giù.  Corretto, ma ritengo che molto dipenda da quale sia la posta in gioco. Credo che prima di mollare la presa sia importante indagare a fondo se e quanto sia importante quel trapezio per me. Se quel trapezio rappresenti per me il bene indivisibile senza cui non posso vivere, allora farò di tutto per restar attaccato a quella presa. E se non dovessi farcela, allora lo accetterò ma come consapevolezza, non con abbandonata rassegnazione.
Spesso si gettano le armi prima ancora di aver lottato, perché si è rassegnati ad un destino avverso, che magari ci mette alla prova per vedere la nostra reazione. Si  accetta l’apparenza delle cose senza indagare, approfondire e, pertanto, si accetta la decisione di un qualcosa che chiamiamo destino, senza lottare. Ed è in questi casi che accettazione equivale a rassegnazione.  
Mi capisci Eloise?»
La giovane trapezista annuì silenziosa.
Soddisfatto, Jack riprese a parlare.
«Ci sono delle volte in cui quel trapezio è così importante per noi che prima di accettare la sconfitta (rassegnarci) ci danniamo anima e corpo alla ricerca di una soluzione, di una strada per affrontare il momento di difficoltà che stiamo attraversando. Durante le battaglie cambiano le strategie come ben sai, e non si sa bene che armi usare per far fronte alle nuove difficoltà. Bisogna allora studiare se esistono altri mezzi per affrontare la situazione, altre armi per combattere il nemico e sconfiggerlo ed una volta trovate affrontare e lottare restando saldamente incollati a quella presa senza mollarla nemmeno per un istante. Non è una strada facile, si attraversano momenti di appannamento, di stanchezza, verso il mondo e verso se stessi, la presa scivola, e si tende a mollare.  Se riusciamo però a trovare nuovi mezzi, e nuove strategie, allora sarà semplicemente sufficiente cambiare mano, o mettere un po’ di gesso in più per tenerci ancor più saldamente ancorati a quella presa.  Alle volte basta saper tener duro e quando la presa è realmente importante allora lottare trovare nuovi strumenti e continuare a volteggiare».
Eloise che fino a quel momento aveva seguito con estrema attenzione le parole di Jack, ruppe il silenzio con un’altra domanda
«Ma cosa succede se, invece, acquisisci la consapevolezza che la cosa migliore da fare per salvare te stesso da un baratro inesorabile sia quella di mollare la presa, perché il trapezio non riveste l’importanza che tu avevi attribuito o semplicemente sei tu a non rivestire quel ruolo che ti eri arbitrariamente attribuito»
Una nuova pausa.
Un Jack completamente diverso da quello conosciuto fino a quel momento, si portò una mano sotto il mento, accarezzando la barba incolta, e con lo sguardo perso verso Montmartre e la sua splendida collina illuminata dall’ultimo bagliore pomeridiano rispose
«La semplice considerazione di esser giunta all’idea, o meglio alla consapevolezza della necessità di liberare la presa è già una risposta alla tua domanda, cara Eloise. È inutile continuare a mantenermi saldamente agganciato sapendo che dall’altra parte non ci sarà nessuno pronto ad afferrarmi. Meglio scendere dal trapezio adesso prima di farmi ancor più male, prima di spiccare il volo senza la rete sotto che potrà sorreggere una mia caduta. La nostra felicità, il nostro amor proprio deve venir prima di ogni altro sentimento. Amare è condivisione non dolore»
«Per arrivare a comprendere tutto questo – continuò Jack – il percorso non è così semplice, ci vuole tempo e quando c’è di mezzo l’amore ogni cosa diventa relativa. Ti ricordi, abbiamo già parlato della sottile differenza tra illusione e speranza. Alle volte, la gioia che proviamo, legata al ricordo di una persona, ci fa credere che quel sentimento sia ancora vivo e nonostante la consapevolezza dell’opportunità di lasciare la presa e cader giù dal trapezio, continuiamo a restarne attaccati. Perché ci comportiamo così? La risposta è racchiusa nel fatto che dentro ognuno di noi si sviluppa l’illusione (speranza) che prima o poi quella persona possa tornare da noi. Possa riprendere la nostra mano prima che noi stessi abbandoniamo la presa. Tutto questo ci impedisce di abbandonare la presa nonostante i dolori lancinanti. Presto o tardi, però, arriva un momento in cui tutto cambia e anche la più salda delle prese, sorretta dalle speranze più forti cede il passo all’abbandono. Il dolore ha un limite e bisogna lasciare per poter continuare a vivere. È simile all’istinto di sopravvivenza insito dentro ognuno di noi. Quel richiamo ancestrale che ci viene in soccorso nel momento di difficoltà estrema.»
«Aspetta non ho finito, ti prego ascoltami ancora un istante Eloise»
Quando ti ho rivista a Parigi l’altro giorno a Place A.Malraux, a distanza di oltre un anno dall’ultima volta, è stato un tuffo al cuore. Tutto ciò che avevo fatto per dimenticare la locanda e le sue stanze è riaffiorato in un istante in tutta la sua forza. È stato una gioia ritrovarti, nuova linfa vitale che si è sprigionata per tutto il corpo. Ben presto però, l’incanto finisce e la razionalità prende il sopravvento sull’impulsività. Il cervello vince sul cuore.  Il dolore prende il sopravvento sulla gioia. Ed è stato proprio in quel preciso istante che ho deciso di abbandonare la presa realmente. La gioia provata inizialmente rivedendoti, altro non era che un’ulteriore illusione, frutto della mia fantasia. L’ennesima illusione che quella presa avessi dovuto mantenerla ancora salda perché prima o poi tu saresti risalita su quel trapezio afferrando la mia mano è svanita come questa neve che ho tra le mani, nel momento stesso in cui mi hai confidato le tue ultime paure. Grazie alle tue riflessioni e alle tue domande ho finalmente compreso quanto sia inutile  tener salda quella presa»
Silenzio
Osservando Eloise negli occhi, Jack prese in prestito una vecchia frase che da qualche tempo accompagnava il suo cammino e iniziò a recitarla:

Esistono soltanto due giorni durante l’anno
in cui non è possibile far nulla.
Uno si chiama ieri e l’altro domani.
Pertanto oggi è il giorno ideale
per amare, crescere fare e
principalmente vivere

«Non commettere il mio stesso errore, dolce Eloise sarebbe un peccato. – proseguì una volta terminato di recitare -  Non lasciar andare il tuo oggi, guardando il passato o aspettando il futuro. Non si applaude con una mano soltanto, ne occorrono necessariamente due.  Addio dolce Eloise».
Una carezza, percorse il viso della trapezista e prima ancora che potesse dire anche solo una parola, un balzo e Jack scomparve all’orizzonte. I nomadi son così come arrivano vanno via, il vento è la loro unica guida.
FINE

Qualche giorno più tardi, come previsto il circo aveva valicato i Pirenei e raggiunto la meravigliosa città di Barcelona. In attesa dell’inizio del primo spettacolo pomeridiano, Eloise aveva approfittato di un po’ di tempo libero per far una passeggiata lungo la Rambla e schiarirsi un po’ le idee. Le parole di Jack, non avevano ancora sgombrato la sua mente. Il lento incedere dei passi tra i viali alberati venne ben presto interrotto da un’ improvvisa raffica di vento che fece volare il piccolo basco nero della trapezista, lasciando liberi i lunghi capelli. Una corsa per afferrare il cappello ed una sorpresa al suo interno. Un foglio di carta sgualcito era rimasto impigliato all’interno della piccola visiera di stoffa. Estratto il foglio e aprendolo con estrema attenzione, Eloise si trovò in mano una poesia:

Ho visto i tuoi capelli neri come la notte,
ribelli come il vento che soffia tra gli affollati viali
del Parque del Retiro

Ho seguito il lento ma allegro incedere dei tuoi passi
attraversare il Paseo del Prado,
passo dopo passo leggero e svolazzante

Ho osservato le tue mani
sottili e affusolate
accarezzare le gelide acque
dell'oceano Atlantico
in cerca di conforto

Ho assaporato le tue labbra
rosse come pesca
nel dolce bacio
di due innamorati di Lisbona

Ho appoggiato la mia testa
sulle tue spalle esili
per piangere e sfogare dolori
celati all'umanità intera,
hogar antico rifugio per l'anima

Ho abbattuto edifici di errori
e costruito castelli di illusioni
crollati al primo soffio di vento
ma ho perseverato nel costruire
perché quelle illusioni
erano per me linfa vitale

Ho provato a cancellare orme sulla sabbia
come lapidi su cui sotterrare ricordi
ma la gioia e' immortale e i sogni infiniti

Ho imparato a godere con te
delle stelle ascoltando le loro leggende
consapevole che sotto quel manto oscuro
c'e' sempre un mare, pronto a cullarle.
Ogni stella che cade finisce in mare
e' lì che ti ritrovo ogni volta che le osservo

Ho sognato le tue gambe e i tuoi seni
ma le mie mani muovendosi ti hanno persa.
Mi son svegliato e non eri più accanto a me
o semplicemente non lo eri mai stata
                                                                                                Jack
                                                                                     Un anno fa

mercoledì 15 febbraio 2012

Jack lo spazzacamino II parte



Era trascorso appena qualche giorno e le parole di Alain risuonavano ancora nella mente del giovane spazzacamino, quando la fune utilizzata per la pulizia dei comignoli e per gli astratti volteggi circensi si spezzò all’improvviso. Quel banale inconveniente, si trasformò nell’occasione per Jack di tornare in contatto con la realtà cittadina e godere della sorpresa che il destino aveva in serbo per il giovane funambolo.
Scivolato giù per le grondaie secondarie, il giovane spazzacamino si tuffò tra le vie frenetiche della città, non senza sbuffare e maledire quello stupido contrattempo che lo aveva costretto a interrompere il suo lavoro. Lui che preferiva sempre osservare la città dall’alto dei suoi tetti senza prender parte alla vita sottostante,  quasi fosse una dimensione personale, nella quale arroccarsi al sicuro dalla monotonia cittadina.
 «Venghino siori e siore, il circo “de Nuages” è arrivato in città, solo per pochi giorni potrete assistere al più grande spettacolo circense di tutta Europa, venghino siori e siore!!”
Una voce sottile ma acuta proveniva dall’interno di Place A.Malraux. Nonostante la decisa convinzione di non andare al circo, Jack decise comunque di avvicinarsi e dare un’occhiata. Un morso ad un’aspra ma deliziosa mela verde, gentilmente “donata” dal fruttivendolo all’angolo tra Rue de Richelieu e Rue Villedo e via a passo svelto verso la piazza. Cappello abbassato sulla fronte, come di consueto per eludere gli sguardi della gente,  Jack si avvicinò alla folla assiepata a seguire l’improvvisato  spettacolo di strada.
«Troppa gente, non si vede nulla, che sciocco son stato a farmi abbindolare e venir fin qui - pensò Jack dando un altro morso al succoso frutto  - meglio andar via». Proprio mentre stava per allontanarsi, improvvisamente vide un bizzarro giocoliere ergersi tra la folla. Magro, con due lunghissimi trampoli di legno ricoperti da un enorme pantalone bluette a zampa d’elefante sorretto da due bretelle arancioni ed un buffissimo naso rosso da pagliaccio, faceva volteggiare in aria tre birilli colorati osservando sorridente il pubblico dall’alto. «Proprio come me» pensò il giovane spazzacamino, lasciandosi andare ad una risata immediatamente trattenuta dentro il Parka imbottito. Fu a quel punto che Jack prese la decisione di  fermarsi un po’ di più a osservare quel buffo spettacolo. Irritato però dall’eccessiva affluenza della gente e dall’impossibilità di godere di una buona visuale, con l’abilità tipica dei vagabondi, spiccò un piccolo salto e iniziò a salire rapidamente su uno dei lampioni ai piedi del quale aveva luogo lo spettacolo.
Ai piedi del trampoliere, si ergeva in tutta la sua imponenza un simpatico nano in tight arancione luccicante, con un megafono di cartone in mano. «Ecco di chi era quella voce» e di nuovo un sorriso fece capolino tra le labbra dello spazzacamino. In mezzo  alla gente intenta ad osservare, il nano dal viso simpatico e coinvolgente insisteva nel suo proclama passando attraverso le gambe del giovane trampoliere, con il megafono in mano, attento a non urtare le gambe di legno del giovane collega. Rapito dalla sintonia dei loro movimenti, per un attimo Jack si disinteressò dello spettacolo per chiedersi quante ore di allenamento vi fossero dietro un improvvisato teatrino come quello e, da quanto tempo si conoscessero i due bizzarri circensi, data la sintonia che oltrepassava il semplice numero artistico e si percepiva dai gesti d’intesa scambiati tra i due. Ritornato con la mente sulla terra ferma, Jack vide due uomini muscolosi farsi largo tra la folla sbigottita, trasportando sulle ampie spalle muscolose una trave di legno oscillante. Al centro della pista, come per magia ecco sbucare una giovane donna dai capelli neri e gonnellina bianca svolazzante. «E’ un classico trucco d’illusionismo - pensò immediatamente Jack - si attira l’attenzione da un lato, e si lascia il campo d’azione libero per il numero principale, ingenerando sorpresa nell’ignaro osservatore».
Il trampoliere ed il nano come per magia erano svaniti nel nulla, forse risucchiati dalla folla sempre più nutrita. Il centro della scena, adesso, era stato guadagnato dalla giovane, che con un inchino conquistò la folla. Con un’eleganza ed una grazia fuori dal comune, la giovane spiccò un salto e si mise a sedere sulla trave, oscillando le gambe in aria tra le pieghe svolazzanti del gonnellino bianco. Un impercettibile movimento dei due omoni ed ecco la giovane funambola balzare in piedi in equilibrio sulla trave, i piedi morbidi ed affusolati, leggeri come piume nonostante la precarietà di quell’equilibrio.
«E’ come il battito d’ali di una farfalla immobile sullo stelo di un fiore» - immaginò Jack.
Nella lenta ma perfetta oscillazione della trave la giovane artista iniziò il suo numero, differenti esercizi si susseguirono rapidi in un crescendo di acrobazie spettacolari, tra l’ammirazione convinta della gente. Tra un volteggio e un altro, in un silenzio privo di spazio e tempo, lo sguardo della trapezista incrociò quello del giovane spazzacamino. Fu un istante. Un attimo sospeso in una dimensione indefinita senza spazio né tempo, in cui ogni cosa sembrava essersi arrestata. Il mondo circostante scomparso, risucchiato dentro la profondità di quella scintilla improvvisa ed un silenzio irreale aveva avvolto ogni brusio. Un secondo dopo tutto era svanito. I piedi della trapezista ritrovarono il legno morbido della trave e lo scrosciare degli applausi risuonò fragoroso rompendo come d’incanto la magia del momento. Un istante più tardi, anche la trapezista scomparve avvolta dalla folla entusiasta.  Fischi di ammirazione, applausi scroscianti e di nuovo il megafono che invitava a seguire l’intero spettacolo al circo, riportarono ogni cosa nell’alveo della realtà . Gli sforzi di Jack per ritrovare la giovane artista sfruttando la sua posizione privilegiata, si dimostrarono vani. Un attimo così intenso e profondo svanito in un secondo. Solo un’immagine impressa nella mente del giovane spazzacamino, accompagnata dalla sensazione di aver già incrociato quello sguardo in passato. Affannato si precipitò giù dal lampione deciso ad assicurarsene. Ogni tentativo risultò vano, la trapezista era svanita nel nulla. Rassegnato, Jack decise allora di riprendere la sua giornata, non prima di tirare una moneta all’interno del cappello che il giovane nano teneva tra le mani mentre passava tra le gambe degli spettatori. Un suono sordo e la moneta che si infila e mescola alle altre nella tuba nera del circense, un cenno d’intesa con il nano e via.
 
   Il freddo di febbraio a Parigi quell’anno fu anomalo e incessante. I tetti della capitale francesi erano una lastra compatta di ghiaccio e il lavoro di Jack e dei piccoli spazzacamini suoi colleghi era reso maggiormente complicato, dalle abbondanti nevicate di quei giorni che ostacolavano le consuete operazioni di pulizia. Terminato il lavoro, il piccolo spazzacamino suonava l’armonica in compagnia di Alain e della sua immancabile sigaretta, ripensando alla profondità di quello sguardo ormai indelebile.
«La sensazione, Alain, è quella di ritrovarsi per un istante nudi fin dentro l’anima. Uno sguardo così penetrante da escludere ogni cosa attorno, facendoti sentire un tutt’uno con l’altra persona».
«Tu devi riposare, Jack sei troppo stanco, perché non vieni dentro a riposarti, almeno stai al caldo e ti ripari dal gelo di questi giorni»  disse Alain, maggiormente preoccupato per la salute dell’amico che per le sue rivelazioni.
L’orgoglio di Jack era troppo grande per accettare una tale proposta e poi il piccolo vagabondo amava la sua libertà e la sua vista privilegiata, rifiutò in modo garbato e saluto l’amico, riprendendo a suonare la consueta malinconica melodia.
I pensieri quella notte tornarono indietro nel tempo ad una calda estate di qualche anno prima quando il giovane Jack, al ritorno da uno dei soliti viaggi intorno al mondo, era approdato in un accogliente porto e qui vi si era fermato per un po’ frequentando una meravigliosa locanda affacciata sul mare abitata da una splendida ragazza di cui il giovane spazzacamino si era perdutamente innamorato. Ma l’incantesimo era durato poco, il tempo di restarne profondamente ferito e di rassegnarsi all’idea di dovervi rinunciare. Non si può imprigionare una farfalla, son esseri stupendi che devono esser lasciati liberi per vivere e godere della loro bellezza altrimenti perdono la loro meravigliosa magia ed i loro infiniti colori e finiscono col morire. 
Il mattino seguente, alle nove in punto il giovane spazzacamino iniziò a correre per i tetti di Parigi, deciso a far chiarezza sulla sensazione che lo aveva accompagnato per tutto il giorno precedente. Lo sguardo incrociato in Place A.Malraux, doveva essere necessariamente quello di Eloise, non poteva sbagliarsi. Iniziò con il chiedere agli altri colleghi, se qualcuno avesse visto gli artisti del circo in giro per la città. A distanza di qualche ora, Antoine, un operaio addetto al ripristino degli impianti idrici di Place de la Republique, aveva invitato Jack a recarsi nella zona di Montparnasse, nei pressi della stazione, ove i circensi si sarebbero esibiti a mezzogiorno. Questa volta, però Jack non volle mischiarsi tra la folla, voleva evitare di esser visto e fare in modo di poter osservare tutto lo spettacolo in silenzio dall’alto, verificando se le sue supposizioni fossero reali o frutto della sua fantasia, o per meglio dire del ricordo.
Proprio alle spalle della stazione, nei viali alberati dei Giardini Atlantique, il nano ed il trampoliere avevano già iniziato il loro simpatico siparietto. Nascosto sui rami di una splendida magnolia Jack si godeva lo spettacolo, in attesa di veder sopraggiungere quello che ormai era diventato il suo pensiero fisso. Il tempo passava senza che si vedesse alcuna trapezista farsi largo tra la folla.
Lo sguardo di Jack troppo impegnato sullo spettacolo non avevo notato la dolce Eloise, seduta su una panchina poco distante.  La trapezista, dismessi i panni da circense, era avvolta da una lunga gonna di lana colorata, ai piedi due ballerine un po’ usurate dal tempo, ed una mantella color del mare a coprirle il corpo esile, in testa un simpatico cappello di lana nero, un po’ bombato con una piccola visiera a coprirne gli occhi da cerbiatta. Assorta nei suoi pensieri, stava lì seduta con le mani sulle ginocchia, senza curarsi dell’anziano uomo che portava a spasso il levriero afghano al suo fianco intento a non perdere il cappello per l’insorgere di un’improvvisa folata di vento, o dei due innamorati intenti a scambiarsi effusioni nella panchina difronte, la sua. D’altro canto c’era poco di cui sorprendersi, la presenza di Eloise, era sempre stata una presenza discreta ed impercettibile, tipica del suo carattere. Le mani affusolate sulle ginocchia si muovevano, e lo sguardo seguiva attento quei movimenti. I suoi occhi seguivano le singole linee del destino disegnate all’interno della mano, scrutando i singoli sentieri nella speranza di ricevere risposte lontane. Un attimo e finalmente, l’esile sagoma di Eloise entrò nel cono di luce del vagabondo che ne rimase rapito. La iniziò a osservare come si ammira un gioiello inaspettato, un diamante del quale non si vuol perdere nemmeno il più piccolo barlume di luce o riflesso. La contemplava silenzioso domandandosi perché non fosse vestita da trapezista e come mai non fosse ancora entrata in scena.
Lo spettacolo del nano e del trampoliere era terminato nel frattempo ed i due circensi, lentamente si erano avvicinati alla giovane trapezista, che distogliendo per un attimo lo sguardo dalle mani, alzò gli occhi osservando i due circensi con espressione umana e dolce come una carezza, invitandoli ad andare pure, facendo intendere che si sarebbe trattenuta ancora un po’ su quella panchina. I due circensi, un po’ rassegnati ma incapaci di contravvenire a cotanta dolcezza fecero marcia indietro ed andarono via.


Con un balzo repentino, degno dei più grandi randagi della storia, Jack, saltò giù dai rami e si catapultò alle spalle della ignara Eloise, poggiandole delicatamente le mani sugli occhi coprendoli.
«Smettila Giles, lo so che sei tu, ma ti ho detto che preferisco restare un po’ da sola, e che tra un po’ verrò da sola al tendone».
Nessuna risposta. Un attimo e in una frazione di secondo con uno scatto impercettibile la trapezista si divincolò della presa e si voltò. Le pupille si dilatarono e il mondo si fermò per un istante. La persona che aveva difronte non era il nano Eff, e neanche il trampoliere ma non era neanche la persona alla quale Eloise stava realmente pensando. Era un vecchio ricordo affiorato improvvisamente dal passato, il giovane Marco, così almeno lei lo conosceva. Che ci faceva lì, e da dove era comparso. Un sorriso si fece largo sul volto di entrambi, trasformandosi ben presto in una sonora risata.
 «Che ci fai qui Marco? Pensavo fossi in giro per l’Europa ed invece ti ritrovo a Parigi, proprio alle mie spalle»
«Shhhh  - silenzio ,fece cenno il giovane spazzacamino portandosi un dito all’altezza del naso – non son Marco ma Jack adesso, qui tutti mi conoscono così e faccio lo spazzacamino in giro per i tetti della meravigliosa Paris»
«Jack ?» domandò sorpresa Eloise.
«Si, che nome daresti ad un randagio come me? Non credi che Jack sia perfetto»
«E tu invece che ci fai qui?» rispose sorridendo.
«Io alla fine ho seguito il mio istinto, fare realmente la trapezista e così adesso faccio parte del Circo de Nuages da qualche tempo, credo di aver trovato la mia strada o almeno ci sto provando, e sto diventando un po’ nomade come te, domenica Roma, oggi Parigi e dopodomani Barcelona. Ripercorro un po’ i tuoi passi».
Un nuovo incantesimo, si stava per compiere, i due funamboli iniziarono a parlare, a ritrovarsi, lasciandosi trasportare lontano, attraverso i ricordi, le esperienze e i cambiamenti avvenuti nelle loro vite.
«Dammi la mano Eloise, fidati di me»
Con un po’ di imbarazzo la trapezista allungò la mano ed afferrò la mano di Jack-Marco. In un attimo iniziarono a correre all’impazzata come due ragazzini spensierati lungo Boulevard Pasteur, Boulevard Garibaldi  e via lungo i viali di Parc Du champ de Mars fino all’apparire della sagoma della torre Eiffel difronte i loro occhi.
Si fermarono un attimo a prender fiato.
«Ti fidi di me?» domandò Jack
Eloise, annuì un po’ titubante.
«Bene, andiamo» e i due ragazzini ripartirono
Giunti sotto gli archi della Tour, il funambolo Jack consapevole delle capacità acrobatiche della dolce Eloise, la prese per mano e la fece salire di soppiatto da uno dei pilastri laterali della torre di ferro, in una scalata senza pari. Lentamente, ma con estrema naturalezza i due giovani iniziarono a salire lungo i pilastri della torre, nessuno si accorse di loro e ben presto arrivarono molto in alto.
«Siamo quasi arrivati Eloise»
«Tu sei tutto pazzo Marco» non era facile liberarsi delle vecchie abitudini, e chiamare Jack con il suo nuovo nome.
«Eccoci»
Erano appena arrivati a ridosso della terza piattaforma, ad un’altezza considerevole.
«Non sarà la cima, ma si gode ugualmente di un meravigliosa paesaggio, che te ne pare? Aspetta…»
Con un gesto della mano Jack si tolse il foulard scuro che aveva attorno al collo e lo proteggeva dalle esalazioni di carbone durante il lavoro, e lo avvolse al collo della splendida Eloise, ancor più bella ed  elegante in quella meravigliosa postura da cigno.
«Questo ti proteggerà dal freddo»
«Da qui possiamo dare libero sfogo alla nostra fantasia, ai nostri pensieri ed ai nostri sogni, siamo già abbastanza in alto per agevolare il loro volo»

domenica 12 febbraio 2012

Jack lo spazzacamino


«Hei Jack, è arrivato il circo in città, ci andiamo?»
«No, non ho tempo, il circo è roba per perditempo, andateci voi se ci tenete così tanto, io ho altro da fare»
Riecheggiò la voce roca del giovane spazzacamino dall’interno di un vecchio comignolo leggermente innevato.  
Era fatto così il giovane Jack, prendere o lasciare. Difficilmente lasciava trasparire le proprie emozioni, così come i suoi più banali desideri. Di natura un po’ schivo, celava sempre i suoi desideri dietro una facciata apparentemente rigida e scontrosa. In cuor suo Jack ci sarebbe voluto andare a vedere il circo, quel giorno ma l’orgoglio è un amico dal quale è difficile separarsi. Il tendone colorato rifletteva l’immagine della sua vita negli ultimi anni, un po’ nomade un po’ randagia. Proprio il continuo migrare da un luogo ad un altro aveva rappresentato, nel corso degli anni, una costante nella vita del giovane spazzacamino. Da appena un anno era ritornato a Parigi, dopo aver girovagato per tutta Europa, dalla Svezia alla Grecia, dalla Repubblica Ceca alla Spagna fino al Portogallo, inseguendo sogni e ideali racchiusi in una valigia senza cerniere.  L’invito dei giovani colleghi a lasciarsi coinvolgere dalla allegra magia del circo, in realtà, dopo la fase di iniziale entusiasmo aveva sollevato una patina di malinconia nel cuore del piccolo Jack. Ricordi lontani, legati all’ambiente circense si riaffacciavano all’orizzonte e il desiderio di cancellarli al più presto e rispedirli nei meandri della mente da dove erano riapparsi era infinito. L’arrivo del circo in città, non aveva fatto altro che acuire quella sensazione di tristezza che da qualche tempo avvolgeva il cuore del giovane spazzacamino. Il viso sottile e incavato, sempre sporco di fuliggine, ed un inconfondibile cappellino con la visiera leggermente calata di traverso sulla testa lasciava scoperti i lunghi riccioli scuri. Una piccola armonica tra le mani, che di tanto in tanto strimpella qualche malinconica melodia trasportandolo lontano, completava il ritratto di questo moderno vagabondo solitario. I tetti di Parigi erano diventati la sua nuova casa, e tra comignoli e tegole si divertiva a volteggiare e provare nuove evoluzioni, come fosse un equilibrista in bilico tra la fune tesa tra i tiranti del tendone, dinnanzi lo stupore generale dei giovani colleghi, per i quali Jack rappresentava un esempio di libertà e autonomia.  La Tour Eiffel era avvolta da una malinconica pioggerellina, forse nevischio, quel freddo pomeriggio di febbraio. Parc Du Champ de Mars era una splendida tavolozza dai riflessi colorati ed i viali di platani ed ippocastani ormai spogli riflettevano i colori delle foglie sull’asfalto bagnato, un quadro impressionista esposto agli occhi di pochi attenti osservatori. Al riparo da occhi indiscreti, Jack si lasciò scivolare sulle tegole spioventi sedendosi con la  schiena appoggiata alla parete di un comignolo isolato, portò le ginocchia al petto ed estrasse dalla giacca del logoro parka marrone, la fedele compagna di viaggi, iniziando a strimpellare la solita malinconica melodia, che accompagnava le giornate un po’ così come usava definirle lui stesso.
La tragica notizia lo aveva raggiunto fin lassù. Il suo amico Charles ed il suo inconfondibile cappotto rosso, non si sarebbero più presentati al consueto appuntamento all’angolo tra Rue du Quatre Septembre  e Rue de Richelieu. Ogni pomeriggio prima dell’imbrunire Charles arrivava in compagnia del suo rudimentale forno portatile arrostendo le più buone castagne di tutta Parigi. Un uomo sulla cinquantina, alto ed un po' robusto, i lineamenti morbidi e rilassati, due piccoli occhi azzurri e vispi incastonati come gemme preziose tra una fronte larga e rugosa e un naso un po’ ingombrante, la barba incolta e canuta, le mani e le unghie sempre sporche di carbone, trasmettevano estrema tranquillità nell’animo dei passanti verso i quali Charles aveva sempre pronto il migliore dei sorrisi. Vendeva le sue caldarroste ai passanti avvolto in quel goffo cappotto rosso con un vecchio paio di guanti di lana tagliati all’altezza delle dita per garantire la libertà di movimento che quel lavoro richiedeva. Era un brav’uomo Charles, ma si offendeva facilmente ogniqualvolta qualcuno sminuiva la sua opera. Si perché Charles amava quel mestiere e trattava quei frutti come fossero gemme preziose. I bambini impazzivano per quell’omaccione e per il suo cappotto, sarà per l’aspetto paterno da Babbo Natale, sarà per i modi così dolci e gentili o semplicemente per la sua contagiosa allegria ma chiunque passasse per quelle strada non poteva non restare piacevolmente colpito da quella figura così imponente ed al contempo così rassicurante e familiare. Il suo forno ambulante, aveva un cassettino con dei fogli di giornale che all’occorrenza estraeva, realizzando con grande destrezza giochi di carta per i suoi giovani passanti. Da un banalissimo foglio di “LeMonde o de “L equipe” era in grado di realizzare gli oggetti più bizzarri, un cigno, una barca, perfino un cappello ed in ognuno di essi come per magia nascondeva una o più gemme per i suoi clienti più affettuosi - I Bambini - Era davvero un brav’uomo Charles.
Nel settembre di quello stesso anno tra Charles e Jack era nata un’amicizia spontanea, dettata forse dalla passione comune per la cenere ed il carbone o semplicemente per la contiguità del posto di lavoro, anche se su piani diversi, l’uno sulle strade e l’altro sui tetti. Ogni giorno, raggiunto l’incrocio tra Rue du Quatre Septembre e Rue de Richelieu Charles rivolgeva gli occhi al cielo, in cerca dell’ amico spazzacamino. Incrociato lo sguardo del giovane Jack, il mago delle caldarroste strizzava l’occhio e Jack slegava immediatamente lo spago che portava sempre con sé e lo lasciava scivolare lungo le grondaie fino alla strada, ove le mani di Charles erano pronte a prendere una delle due estremità. Le prime caldarroste, appena sfornate, venivano avvolte in un piccolo cestino di giornale e uno strattone dava il via al simpatico siparietto. Jack sorrideva e iniziava a issare la fune, non prima di levarsi il cappello, regalare una allegra canzoncina con l’armonica e rivolgere un simpatico inchino al suo eroe con il cappotto rosso, in segno di ringraziamento. Charles ricambiava con un sorriso,  rallegrato dai modi di quel giovane randagio così galante nonostante la giovane età.
Proprio la presenza di Charles per le vie di Parigi rendeva l’autunno una stagione speciale per il giovane spazzacamino. Degustando le caldarroste ancora bollenti, Jack si domandava spesso di cosa si occupasse Charles una volta finita la stagione delle castagne. Forse si trasferirà al sud pensava inseguendo un autunno infinito dall’altra parte dell’emisfero, continuando a vendere le sue deliziose caldarroste in altri paesi. Ognuno di noi ha una sua stagione pensò Jack, quella di Charles doveva decisamente essere l’autunno. Forse avrà un altro lavoro in giro per la stessa Parigi, o magari si eserciterà a fare il mago della carta, realizzando nuove figure con i suoi fogli di giornali, immaginava Jack divertito. Il piccolo spazzacamino dall’aria da duro era troppo schivo per poter solo immaginare di rivolgere una domanda simile, al suo più anziano amico. Era bravissimo a regalar sorrisi ed inchini ma non altrettanto con le parole. E tutti quei pensieri sarebbero rimasti semplici domande che non avrebbero mai avuto una risposta. Quel giorno, l’ambulante delle caldarroste non avrebbe più rallegrato i bimbi parigini con i suoi personaggi di carta prima di trasformarsi in coni porta caldarroste. Questa volta era tutto finito e Jack contemplava il vuoto soffiando aria tra i fori della sua amata compagna di viaggi.
Il suono roco e malinconico riecheggiava nell’aria fin dentro le case sottostanti la dimora del giovane vagabondo, raggiungendo la finestra del giovane Alain, scrittore squattrinato sempre alle prese con racconti mai conclusi. Compagno di “casa” del giovane Jack, Alain viveva in una stretta e polverosa mansarda con le travi al tetto di Rue de Richelieu, proprio sotto i piedi del giovane spazzacamino. Una piccola stanzetta, dalla cui finestra risplendeva la luce di un’antica abat jour dell’ottocento, comprata in un mercatino delle pulci di Parigi, e spacciata per una delle lampade ad olio del giovane Baudelaire. Strano binomio quello tra Alain e Jack. Il piccolo spazzacamino adorava le storie che Alain gli raccontava, raggiungendolo a fatica sui tetti per l’ultima sigaretta serale. La dimora di Jack, una casa senza porte né finestre godeva di una vista esclusiva sul cielo stellato e sulla meravigliosa Parigi illuminata. Nelle fredde serate invernali, quando il vento di maestrale spazza via ogni nube, era persino possibile osservare la splendida Torre di ferro ergersi tra gli edifici della città illuminata. Fu proprio approfittando di questa vista incredibile sulla volta celeste, che Alain iniziò ad insegnare al giovane spazzacamino la struttura delle costellazioni e la loro individuazione, iniziando dall’orsa maggiore, la più semplice da riconoscere. Ogni costellazione veniva accompagnata da un racconto, spesso fantastico, per permettere che i nomi restassero impressi nella memoria di Jack e rendere al contempo la loro individuazione più semplice. Da quegli incontri, ogni sera da quasi un anno il giovane Jack osservava le stelle disegnando le costellazioni congiungendo i vari punti luminosi con le dita comodamente adagiato nel suo letto privilegiato, tra le note flebili della sua amata armonica. Attraverso i racconti di Jack e le descrizioni dei suoi viaggi in paesi lontani, il promettente scrittore riusciva a vagare con la mente, lasciando libera la propria immaginazione, sognando realmente quei luoghi a lui sconosciuti. I due amici si compensavano a vicenda. Ciascuno rinchiuso nella propria solitudine, si arricchiva della presenza dell'altro trascorrendo ore interminabili su quel tetto senza  mai stancarsi. I destini dei due coinquilini erano molto simili, entrambi solitari, l'uno al caldo ed al sicuro nel suo piccolo stanzino con l’abat- jour sempre accesa e la macchina da scrivere per compagna, il piccolo Jack, invece, randagio sui tetti con vista esclusiva sul cielo di Parigi con la piccola armonica a tenergli compagnia nelle gelide serate invernali. Il silenzio era il loro segreto. Quel freddo pomeriggio d'inverno, come già successo in passato, le note dell'armonica giunsero alle orecchie del giovane scrittore, intento a stracciare l’ennesimo foglio estratto con rabbia dal rullo della macchina da scrivere, in attesa di quella ispirazione smarrita da anni. Udite le malinconiche note, Alain spense la colorata abat-jour e si catapultò fuori dalla finestra per raggiungere l’amico. In realtà, lo stretto gilet scuro, inseparabile uniforme del giovane scrittore, ne ostruiva i movimenti rendendo estremamente complicato sgattaiolare fuori dalla piccola finestra del terzo piano per raggiungere l’ampia dimora dell’amico su per le tegole rese scivolose dai primi fiocchi di neve caduti in mattinata. Non era necessario parlare. Fu sufficiente osservare i grandi occhi di jack, smarriti nel vuoto del cielo parigino per capire. In silenzio, senza disturbare l’amico, Alain si sedette dall'altra parte del comignolo, alle spalle dell’esile spazzacamino, estrasse una sigaretta dal taschino della camicia a quadri e ascoltò in silenzio la triste melodia che fluttuava nell'aria insieme al fumo della prima tirata. Ultimata l'esibizione, Alain ruppe il silenzio e rivolgendosi all'amico disse.
«Vuoi conoscere un segreto Jack ?»
«Di che si tratta? » chiese il piccolo vagabondo
«Tu ami il Sole, vero amico mio? »
«Certo» rispose Jack curioso ed affascinato come sempre, nonostante il triste momento.
«Ed ami anche quell’enorme sfera lassù, che sta comparendo alle tue spalle chiamata Luna ?»
«Certo, che domande fai Alain, sei salito fin quassù per chiedermi questo? Le risposte le conosci già non era necessario disturbarti e venire fin qui»
«E’ proprio questo il segreto amico mio, se ami il Sole non puoi rinnegare la Luna! Se accetti il giorno non puoi rifiutare la notte e se ami la gioia non puoi rifiutare il dolore! Ogni cosa e' strettamente legata all'altra, al suo opposto e l'unica cosa da fare e' comprendere e accettare. Il mondo è fatto così e non possiamo pretendere eccezioni alle regole di un gioco più grande di noi. La vita e la morte non son altro che due facce della stessa medaglia se desideriamo l'una dobbiamo necessariamente accettare anche l'altra.»
Alain si alzò in piedi facendo per andarsene, si scrollò un po’ di polvere dai pantaloni e dando le spalle all’amico aggiunse in tono flebile
«C'est la vie, mon ami»
aggiunse tirando via la sigaretta, con un colpo di dita.  
Un sorriso amaro fece capolino sul viso di Jack. Con lo sguardo verso il cielo iniziò a riflettere, quelle parole seppure così semplici scossero profondamente il giovane spazzacamino. Balzato in piedi, recuperata la  fune che portava sempre con sé, inizio a legarne un’estremità ad un comignolo e l’altra ad un altro leggermente più distante. Riprese l’armonica ed avvolgendola tra le dita, l’avvicinò alle labbra iniziando a suonare. Sollevò il piede destro e lo poggiò delicatamente sulla fune tesa, in perfetto equilibrio, richiamò l’altro piede ed iniziò a volteggiare sulla fune tesa. Le parole di Alain riecheggiavano nella mente e senza scomporsi Jack ripose l’armonica nella tasca dei pantaloni, estrasse un naso rosso da pagliaccio e lo infilò mantenendo sempre l’equilibrio sulla fune. Alzò le braccia al cielo e con i palmi delle mani aperti iniziò a giocare con l’enorme sfera bianca che splendeva viva sopra il suo viso facendo finta di sorreggerla sopra la testa. Giunto alla fine della fune, fece una piccola piroetta e saltò giù concludendo la simpatica evoluzione con un simpatico inchino al centro dell’arena di tegole.
«Questo è per te Charles, bon voyage nell’autunno infinito».