«Hei Jack, è arrivato il circo in città, ci andiamo?»
«No, non ho tempo, il circo è roba per perditempo, andateci voi se ci tenete così tanto, io ho altro da fare»
Riecheggiò la voce roca del giovane spazzacamino dall’interno di un vecchio comignolo leggermente innevato.
Era fatto così il giovane Jack, prendere o lasciare. Difficilmente lasciava trasparire le proprie emozioni, così come i suoi più banali desideri. Di natura un po’ schivo, celava sempre i suoi desideri dietro una facciata apparentemente rigida e scontrosa. In cuor suo Jack ci sarebbe voluto andare a vedere il circo, quel giorno ma l’orgoglio è un amico dal quale è difficile separarsi. Il tendone colorato rifletteva l’immagine della sua vita negli ultimi anni, un po’ nomade un po’ randagia. Proprio il continuo migrare da un luogo ad un altro aveva rappresentato, nel corso degli anni, una costante nella vita del giovane spazzacamino. Da appena un anno era ritornato a Parigi, dopo aver girovagato per tutta Europa, dalla Svezia alla Grecia, dalla Repubblica Ceca alla Spagna fino al Portogallo, inseguendo sogni e ideali racchiusi in una valigia senza cerniere. L’invito dei giovani colleghi a lasciarsi coinvolgere dalla allegra magia del circo, in realtà, dopo la fase di iniziale entusiasmo aveva sollevato una patina di malinconia nel cuore del piccolo Jack. Ricordi lontani, legati all’ambiente circense si riaffacciavano all’orizzonte e il desiderio di cancellarli al più presto e rispedirli nei meandri della mente da dove erano riapparsi era infinito. L’arrivo del circo in città, non aveva fatto altro che acuire quella sensazione di tristezza che da qualche tempo avvolgeva il cuore del giovane spazzacamino. Il viso sottile e incavato, sempre sporco di fuliggine, ed un inconfondibile cappellino con la visiera leggermente calata di traverso sulla testa lasciava scoperti i lunghi riccioli scuri. Una piccola armonica tra le mani, che di tanto in tanto strimpella qualche malinconica melodia trasportandolo lontano, completava il ritratto di questo moderno vagabondo solitario. I tetti di Parigi erano diventati la sua nuova casa, e tra comignoli e tegole si divertiva a volteggiare e provare nuove evoluzioni, come fosse un equilibrista in bilico tra la fune tesa tra i tiranti del tendone, dinnanzi lo stupore generale dei giovani colleghi, per i quali Jack rappresentava un esempio di libertà e autonomia. La Tour Eiffel era avvolta da una malinconica pioggerellina, forse nevischio, quel freddo pomeriggio di febbraio. Parc Du Champ de Mars era una splendida tavolozza dai riflessi colorati ed i viali di platani ed ippocastani ormai spogli riflettevano i colori delle foglie sull’asfalto bagnato, un quadro impressionista esposto agli occhi di pochi attenti osservatori. Al riparo da occhi indiscreti, Jack si lasciò scivolare sulle tegole spioventi sedendosi con la schiena appoggiata alla parete di un comignolo isolato, portò le ginocchia al petto ed estrasse dalla giacca del logoro parka marrone, la fedele compagna di viaggi, iniziando a strimpellare la solita malinconica melodia, che accompagnava le giornate un po’ così come usava definirle lui stesso.
La tragica notizia lo aveva raggiunto fin lassù. Il suo amico Charles ed il suo inconfondibile cappotto rosso, non si sarebbero più presentati al consueto appuntamento all’angolo tra Rue du Quatre Septembre e Rue de Richelieu. Ogni pomeriggio prima dell’imbrunire Charles arrivava in compagnia del suo rudimentale forno portatile arrostendo le più buone castagne di tutta Parigi. Un uomo sulla cinquantina, alto ed un po' robusto, i lineamenti morbidi e rilassati, due piccoli occhi azzurri e vispi incastonati come gemme preziose tra una fronte larga e rugosa e un naso un po’ ingombrante, la barba incolta e canuta, le mani e le unghie sempre sporche di carbone, trasmettevano estrema tranquillità nell’animo dei passanti verso i quali Charles aveva sempre pronto il migliore dei sorrisi. Vendeva le sue caldarroste ai passanti avvolto in quel goffo cappotto rosso con un vecchio paio di guanti di lana tagliati all’altezza delle dita per garantire la libertà di movimento che quel lavoro richiedeva. Era un brav’uomo Charles, ma si offendeva facilmente ogniqualvolta qualcuno sminuiva la sua opera. Si perché Charles amava quel mestiere e trattava quei frutti come fossero gemme preziose. I bambini impazzivano per quell’omaccione e per il suo cappotto, sarà per l’aspetto paterno da Babbo Natale, sarà per i modi così dolci e gentili o semplicemente per la sua contagiosa allegria ma chiunque passasse per quelle strada non poteva non restare piacevolmente colpito da quella figura così imponente ed al contempo così rassicurante e familiare. Il suo forno ambulante, aveva un cassettino con dei fogli di giornale che all’occorrenza estraeva, realizzando con grande destrezza giochi di carta per i suoi giovani passanti. Da un banalissimo foglio di “LeMonde o de “L equipe” era in grado di realizzare gli oggetti più bizzarri, un cigno, una barca, perfino un cappello ed in ognuno di essi come per magia nascondeva una o più gemme per i suoi clienti più affettuosi - I Bambini - Era davvero un brav’uomo Charles.
Nel settembre di quello stesso anno tra Charles e Jack era nata un’amicizia spontanea, dettata forse dalla passione comune per la cenere ed il carbone o semplicemente per la contiguità del posto di lavoro, anche se su piani diversi, l’uno sulle strade e l’altro sui tetti. Ogni giorno, raggiunto l’incrocio tra Rue du Quatre Septembre e Rue de Richelieu Charles rivolgeva gli occhi al cielo, in cerca dell’ amico spazzacamino. Incrociato lo sguardo del giovane Jack, il mago delle caldarroste strizzava l’occhio e Jack slegava immediatamente lo spago che portava sempre con sé e lo lasciava scivolare lungo le grondaie fino alla strada, ove le mani di Charles erano pronte a prendere una delle due estremità. Le prime caldarroste, appena sfornate, venivano avvolte in un piccolo cestino di giornale e uno strattone dava il via al simpatico siparietto. Jack sorrideva e iniziava a issare la fune, non prima di levarsi il cappello, regalare una allegra canzoncina con l’armonica e rivolgere un simpatico inchino al suo eroe con il cappotto rosso, in segno di ringraziamento. Charles ricambiava con un sorriso, rallegrato dai modi di quel giovane randagio così galante nonostante la giovane età.
Proprio la presenza di Charles per le vie di Parigi rendeva l’autunno una stagione speciale per il giovane spazzacamino. Degustando le caldarroste ancora bollenti, Jack si domandava spesso di cosa si occupasse Charles una volta finita la stagione delle castagne. Forse si trasferirà al sud pensava inseguendo un autunno infinito dall’altra parte dell’emisfero, continuando a vendere le sue deliziose caldarroste in altri paesi. Ognuno di noi ha una sua stagione pensò Jack, quella di Charles doveva decisamente essere l’autunno. Forse avrà un altro lavoro in giro per la stessa Parigi, o magari si eserciterà a fare il mago della carta, realizzando nuove figure con i suoi fogli di giornali, immaginava Jack divertito. Il piccolo spazzacamino dall’aria da duro era troppo schivo per poter solo immaginare di rivolgere una domanda simile, al suo più anziano amico. Era bravissimo a regalar sorrisi ed inchini ma non altrettanto con le parole. E tutti quei pensieri sarebbero rimasti semplici domande che non avrebbero mai avuto una risposta. Quel giorno, l’ambulante delle caldarroste non avrebbe più rallegrato i bimbi parigini con i suoi personaggi di carta prima di trasformarsi in coni porta caldarroste. Questa volta era tutto finito e Jack contemplava il vuoto soffiando aria tra i fori della sua amata compagna di viaggi.
Il suono roco e malinconico riecheggiava nell’aria fin dentro le case sottostanti la dimora del giovane vagabondo, raggiungendo la finestra del giovane Alain, scrittore squattrinato sempre alle prese con racconti mai conclusi. Compagno di “casa” del giovane Jack, Alain viveva in una stretta e polverosa mansarda con le travi al tetto di Rue de Richelieu, proprio sotto i piedi del giovane spazzacamino. Una piccola stanzetta, dalla cui finestra risplendeva la luce di un’antica abat jour dell’ottocento, comprata in un mercatino delle pulci di Parigi, e spacciata per una delle lampade ad olio del giovane Baudelaire. Strano binomio quello tra Alain e Jack. Il piccolo spazzacamino adorava le storie che Alain gli raccontava, raggiungendolo a fatica sui tetti per l’ultima sigaretta serale. La dimora di Jack, una casa senza porte né finestre godeva di una vista esclusiva sul cielo stellato e sulla meravigliosa Parigi illuminata. Nelle fredde serate invernali, quando il vento di maestrale spazza via ogni nube, era persino possibile osservare la splendida Torre di ferro ergersi tra gli edifici della città illuminata. Fu proprio approfittando di questa vista incredibile sulla volta celeste, che Alain iniziò ad insegnare al giovane spazzacamino la struttura delle costellazioni e la loro individuazione, iniziando dall’orsa maggiore, la più semplice da riconoscere. Ogni costellazione veniva accompagnata da un racconto, spesso fantastico, per permettere che i nomi restassero impressi nella memoria di Jack e rendere al contempo la loro individuazione più semplice. Da quegli incontri, ogni sera da quasi un anno il giovane Jack osservava le stelle disegnando le costellazioni congiungendo i vari punti luminosi con le dita comodamente adagiato nel suo letto privilegiato, tra le note flebili della sua amata armonica. Attraverso i racconti di Jack e le descrizioni dei suoi viaggi in paesi lontani, il promettente scrittore riusciva a vagare con la mente, lasciando libera la propria immaginazione, sognando realmente quei luoghi a lui sconosciuti. I due amici si compensavano a vicenda. Ciascuno rinchiuso nella propria solitudine, si arricchiva della presenza dell'altro trascorrendo ore interminabili su quel tetto senza mai stancarsi. I destini dei due coinquilini erano molto simili, entrambi solitari, l'uno al caldo ed al sicuro nel suo piccolo stanzino con l’abat- jour sempre accesa e la macchina da scrivere per compagna, il piccolo Jack, invece, randagio sui tetti con vista esclusiva sul cielo di Parigi con la piccola armonica a tenergli compagnia nelle gelide serate invernali. Il silenzio era il loro segreto. Quel freddo pomeriggio d'inverno, come già successo in passato, le note dell'armonica giunsero alle orecchie del giovane scrittore, intento a stracciare l’ennesimo foglio estratto con rabbia dal rullo della macchina da scrivere, in attesa di quella ispirazione smarrita da anni. Udite le malinconiche note, Alain spense la colorata abat-jour e si catapultò fuori dalla finestra per raggiungere l’amico. In realtà, lo stretto gilet scuro, inseparabile uniforme del giovane scrittore, ne ostruiva i movimenti rendendo estremamente complicato sgattaiolare fuori dalla piccola finestra del terzo piano per raggiungere l’ampia dimora dell’amico su per le tegole rese scivolose dai primi fiocchi di neve caduti in mattinata. Non era necessario parlare. Fu sufficiente osservare i grandi occhi di jack, smarriti nel vuoto del cielo parigino per capire. In silenzio, senza disturbare l’amico, Alain si sedette dall'altra parte del comignolo, alle spalle dell’esile spazzacamino, estrasse una sigaretta dal taschino della camicia a quadri e ascoltò in silenzio la triste melodia che fluttuava nell'aria insieme al fumo della prima tirata. Ultimata l'esibizione, Alain ruppe il silenzio e rivolgendosi all'amico disse.
«Vuoi conoscere un segreto Jack ?»
«Di che si tratta? » chiese il piccolo vagabondo
«Tu ami il Sole, vero amico mio? »
«Certo» rispose Jack curioso ed affascinato come sempre, nonostante il triste momento.
«Ed ami anche quell’enorme sfera lassù, che sta comparendo alle tue spalle chiamata Luna ?»
«Certo, che domande fai Alain, sei salito fin quassù per chiedermi questo? Le risposte le conosci già non era necessario disturbarti e venire fin qui»
«E’ proprio questo il segreto amico mio, se ami il Sole non puoi rinnegare la Luna! Se accetti il giorno non puoi rifiutare la notte e se ami la gioia non puoi rifiutare il dolore! Ogni cosa e' strettamente legata all'altra, al suo opposto e l'unica cosa da fare e' comprendere e accettare. Il mondo è fatto così e non possiamo pretendere eccezioni alle regole di un gioco più grande di noi. La vita e la morte non son altro che due facce della stessa medaglia se desideriamo l'una dobbiamo necessariamente accettare anche l'altra.»
Alain si alzò in piedi facendo per andarsene, si scrollò un po’ di polvere dai pantaloni e dando le spalle all’amico aggiunse in tono flebile
«C'est la vie, mon ami»
aggiunse tirando via la sigaretta, con un colpo di dita.
Un sorriso amaro fece capolino sul viso di Jack. Con lo sguardo verso il cielo iniziò a riflettere, quelle parole seppure così semplici scossero profondamente il giovane spazzacamino. Balzato in piedi, recuperata la fune che portava sempre con sé, inizio a legarne un’estremità ad un comignolo e l’altra ad un altro leggermente più distante. Riprese l’armonica ed avvolgendola tra le dita, l’avvicinò alle labbra iniziando a suonare. Sollevò il piede destro e lo poggiò delicatamente sulla fune tesa, in perfetto equilibrio, richiamò l’altro piede ed iniziò a volteggiare sulla fune tesa. Le parole di Alain riecheggiavano nella mente e senza scomporsi Jack ripose l’armonica nella tasca dei pantaloni, estrasse un naso rosso da pagliaccio e lo infilò mantenendo sempre l’equilibrio sulla fune. Alzò le braccia al cielo e con i palmi delle mani aperti iniziò a giocare con l’enorme sfera bianca che splendeva viva sopra il suo viso facendo finta di sorreggerla sopra la testa. Giunto alla fine della fune, fece una piccola piroetta e saltò giù concludendo la simpatica evoluzione con un simpatico inchino al centro dell’arena di tegole.
«Questo è per te Charles, bon voyage nell’autunno infinito».
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