giovedì 16 febbraio 2012

Jack lo spazzacamino - III parte





Godendo della vista esclusiva sulla città, i due funamboli iniziarono a raccontarsi fin quando una riflessione di Eloise stravolse tutte le carte in tavola, e cambiò completamente l’esito di questa storia.
«Sono stanca Marco, e mi capita da un po’ di tempo a questa parte di voler lasciare la presa del mio trapezio e scivolar giù. Ti è mai capitato di voler lasciare la presa quando ti rendi conto che è inutile restare ancora legati al trapezio quando dall’altra parte non hai la certezza di avere qualcuno pronto ad afferrarti e sorreggerti. Ho un dolore immenso alla mano sinistra, la mano del cuore, e mi chiedo che senso abbia continuare ancora a restare legati alla presa? Non ho più forza o semplicemente è giunto il momento di accettare le cose e lasciar andare la presa» 
Quelle riflessioni, aprirono uno squarcio nel cuore di Jack , per un attimo la sicurezza nello star seduto lassù venne meno, e un inizio di tremito percorse le sue gambe. Entrambi i funamboli con lo sguardo fisso sul lento scorrere della Senna attraversata dai battelli lucenti all’imbrunire, si abbandonarono a qualche istante di silenzio,interrotto dalle parole di un Jack, improvvisamente trasformato.
«Mollare la presa come accettazione di un momento negativo. La tua liberazione Cara Eloise, assume i contorni di una accettazione equivalente a rassegnazione ad abbandono, non posso avere ciò che desidero, allora mi rassegno abbandono la presa e mi lascio cadere giù.  Corretto, ma ritengo che molto dipenda da quale sia la posta in gioco. Credo che prima di mollare la presa sia importante indagare a fondo se e quanto sia importante quel trapezio per me. Se quel trapezio rappresenti per me il bene indivisibile senza cui non posso vivere, allora farò di tutto per restar attaccato a quella presa. E se non dovessi farcela, allora lo accetterò ma come consapevolezza, non con abbandonata rassegnazione.
Spesso si gettano le armi prima ancora di aver lottato, perché si è rassegnati ad un destino avverso, che magari ci mette alla prova per vedere la nostra reazione. Si  accetta l’apparenza delle cose senza indagare, approfondire e, pertanto, si accetta la decisione di un qualcosa che chiamiamo destino, senza lottare. Ed è in questi casi che accettazione equivale a rassegnazione.  
Mi capisci Eloise?»
La giovane trapezista annuì silenziosa.
Soddisfatto, Jack riprese a parlare.
«Ci sono delle volte in cui quel trapezio è così importante per noi che prima di accettare la sconfitta (rassegnarci) ci danniamo anima e corpo alla ricerca di una soluzione, di una strada per affrontare il momento di difficoltà che stiamo attraversando. Durante le battaglie cambiano le strategie come ben sai, e non si sa bene che armi usare per far fronte alle nuove difficoltà. Bisogna allora studiare se esistono altri mezzi per affrontare la situazione, altre armi per combattere il nemico e sconfiggerlo ed una volta trovate affrontare e lottare restando saldamente incollati a quella presa senza mollarla nemmeno per un istante. Non è una strada facile, si attraversano momenti di appannamento, di stanchezza, verso il mondo e verso se stessi, la presa scivola, e si tende a mollare.  Se riusciamo però a trovare nuovi mezzi, e nuove strategie, allora sarà semplicemente sufficiente cambiare mano, o mettere un po’ di gesso in più per tenerci ancor più saldamente ancorati a quella presa.  Alle volte basta saper tener duro e quando la presa è realmente importante allora lottare trovare nuovi strumenti e continuare a volteggiare».
Eloise che fino a quel momento aveva seguito con estrema attenzione le parole di Jack, ruppe il silenzio con un’altra domanda
«Ma cosa succede se, invece, acquisisci la consapevolezza che la cosa migliore da fare per salvare te stesso da un baratro inesorabile sia quella di mollare la presa, perché il trapezio non riveste l’importanza che tu avevi attribuito o semplicemente sei tu a non rivestire quel ruolo che ti eri arbitrariamente attribuito»
Una nuova pausa.
Un Jack completamente diverso da quello conosciuto fino a quel momento, si portò una mano sotto il mento, accarezzando la barba incolta, e con lo sguardo perso verso Montmartre e la sua splendida collina illuminata dall’ultimo bagliore pomeridiano rispose
«La semplice considerazione di esser giunta all’idea, o meglio alla consapevolezza della necessità di liberare la presa è già una risposta alla tua domanda, cara Eloise. È inutile continuare a mantenermi saldamente agganciato sapendo che dall’altra parte non ci sarà nessuno pronto ad afferrarmi. Meglio scendere dal trapezio adesso prima di farmi ancor più male, prima di spiccare il volo senza la rete sotto che potrà sorreggere una mia caduta. La nostra felicità, il nostro amor proprio deve venir prima di ogni altro sentimento. Amare è condivisione non dolore»
«Per arrivare a comprendere tutto questo – continuò Jack – il percorso non è così semplice, ci vuole tempo e quando c’è di mezzo l’amore ogni cosa diventa relativa. Ti ricordi, abbiamo già parlato della sottile differenza tra illusione e speranza. Alle volte, la gioia che proviamo, legata al ricordo di una persona, ci fa credere che quel sentimento sia ancora vivo e nonostante la consapevolezza dell’opportunità di lasciare la presa e cader giù dal trapezio, continuiamo a restarne attaccati. Perché ci comportiamo così? La risposta è racchiusa nel fatto che dentro ognuno di noi si sviluppa l’illusione (speranza) che prima o poi quella persona possa tornare da noi. Possa riprendere la nostra mano prima che noi stessi abbandoniamo la presa. Tutto questo ci impedisce di abbandonare la presa nonostante i dolori lancinanti. Presto o tardi, però, arriva un momento in cui tutto cambia e anche la più salda delle prese, sorretta dalle speranze più forti cede il passo all’abbandono. Il dolore ha un limite e bisogna lasciare per poter continuare a vivere. È simile all’istinto di sopravvivenza insito dentro ognuno di noi. Quel richiamo ancestrale che ci viene in soccorso nel momento di difficoltà estrema.»
«Aspetta non ho finito, ti prego ascoltami ancora un istante Eloise»
Quando ti ho rivista a Parigi l’altro giorno a Place A.Malraux, a distanza di oltre un anno dall’ultima volta, è stato un tuffo al cuore. Tutto ciò che avevo fatto per dimenticare la locanda e le sue stanze è riaffiorato in un istante in tutta la sua forza. È stato una gioia ritrovarti, nuova linfa vitale che si è sprigionata per tutto il corpo. Ben presto però, l’incanto finisce e la razionalità prende il sopravvento sull’impulsività. Il cervello vince sul cuore.  Il dolore prende il sopravvento sulla gioia. Ed è stato proprio in quel preciso istante che ho deciso di abbandonare la presa realmente. La gioia provata inizialmente rivedendoti, altro non era che un’ulteriore illusione, frutto della mia fantasia. L’ennesima illusione che quella presa avessi dovuto mantenerla ancora salda perché prima o poi tu saresti risalita su quel trapezio afferrando la mia mano è svanita come questa neve che ho tra le mani, nel momento stesso in cui mi hai confidato le tue ultime paure. Grazie alle tue riflessioni e alle tue domande ho finalmente compreso quanto sia inutile  tener salda quella presa»
Silenzio
Osservando Eloise negli occhi, Jack prese in prestito una vecchia frase che da qualche tempo accompagnava il suo cammino e iniziò a recitarla:

Esistono soltanto due giorni durante l’anno
in cui non è possibile far nulla.
Uno si chiama ieri e l’altro domani.
Pertanto oggi è il giorno ideale
per amare, crescere fare e
principalmente vivere

«Non commettere il mio stesso errore, dolce Eloise sarebbe un peccato. – proseguì una volta terminato di recitare -  Non lasciar andare il tuo oggi, guardando il passato o aspettando il futuro. Non si applaude con una mano soltanto, ne occorrono necessariamente due.  Addio dolce Eloise».
Una carezza, percorse il viso della trapezista e prima ancora che potesse dire anche solo una parola, un balzo e Jack scomparve all’orizzonte. I nomadi son così come arrivano vanno via, il vento è la loro unica guida.
FINE

Qualche giorno più tardi, come previsto il circo aveva valicato i Pirenei e raggiunto la meravigliosa città di Barcelona. In attesa dell’inizio del primo spettacolo pomeridiano, Eloise aveva approfittato di un po’ di tempo libero per far una passeggiata lungo la Rambla e schiarirsi un po’ le idee. Le parole di Jack, non avevano ancora sgombrato la sua mente. Il lento incedere dei passi tra i viali alberati venne ben presto interrotto da un’ improvvisa raffica di vento che fece volare il piccolo basco nero della trapezista, lasciando liberi i lunghi capelli. Una corsa per afferrare il cappello ed una sorpresa al suo interno. Un foglio di carta sgualcito era rimasto impigliato all’interno della piccola visiera di stoffa. Estratto il foglio e aprendolo con estrema attenzione, Eloise si trovò in mano una poesia:

Ho visto i tuoi capelli neri come la notte,
ribelli come il vento che soffia tra gli affollati viali
del Parque del Retiro

Ho seguito il lento ma allegro incedere dei tuoi passi
attraversare il Paseo del Prado,
passo dopo passo leggero e svolazzante

Ho osservato le tue mani
sottili e affusolate
accarezzare le gelide acque
dell'oceano Atlantico
in cerca di conforto

Ho assaporato le tue labbra
rosse come pesca
nel dolce bacio
di due innamorati di Lisbona

Ho appoggiato la mia testa
sulle tue spalle esili
per piangere e sfogare dolori
celati all'umanità intera,
hogar antico rifugio per l'anima

Ho abbattuto edifici di errori
e costruito castelli di illusioni
crollati al primo soffio di vento
ma ho perseverato nel costruire
perché quelle illusioni
erano per me linfa vitale

Ho provato a cancellare orme sulla sabbia
come lapidi su cui sotterrare ricordi
ma la gioia e' immortale e i sogni infiniti

Ho imparato a godere con te
delle stelle ascoltando le loro leggende
consapevole che sotto quel manto oscuro
c'e' sempre un mare, pronto a cullarle.
Ogni stella che cade finisce in mare
e' lì che ti ritrovo ogni volta che le osservo

Ho sognato le tue gambe e i tuoi seni
ma le mie mani muovendosi ti hanno persa.
Mi son svegliato e non eri più accanto a me
o semplicemente non lo eri mai stata
                                                                                                Jack
                                                                                     Un anno fa

1 commento:

  1. "Non esiste un vascello veloce come un libro per portarci in terre lontane.”
    Lo scriveva Emily Dickinson quasi 150 anni fa.
    E’ la magia della scrittura che appartiene non solo ai poeti ma anche a chi nella vita vive forti passioni.
    Le parole sono vascelli che inesorabilmente ci invitano al viaggio.
    Ognuno con la sua nave o con la sua piccola scialuppa, ma tutti un po’ marinai nell’oceano infinito dei nostri drammi e delle nostre passioni.
    Mi sono imbarcata spesso sulle navi cariche delle tue parole ed ho imparato a riconoscere non solo terre esotiche e lontane ma gli infiniti e cangianti orizzonti della mia stessa terra.

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